ROUND 7 - LA DOMA
Il mio primo lavoro onesto lo cominciai nel 2007. Al terzo tentativo di superare il secondo anno dell’istituto Professionale, che seguiva i 2 tentativi di superare il primo anno, mamma fu chiamata dal preside.
“Signora, suo figlio è un somaro! Quanto tempo ancora dobbiamo tenercelo qui con noi?”, tuonò il preside.
“E su, dategli un'altra possibilità”, supplicò mamma, “quest'anno ha promesso che si metterà a studiare”.
Il preside fece notare a mamma che la collezione di bocciature non faceva curriculum e quel giorno finì la mia esperienza nel favoloso sistema scolastico italiano.
Sì ma adesso che faccio? Mio fratello Alfonso lavora per la Doma, un’ azienda che installa e rifornisce i distributori automatici di caffè, merendine, quelle cose lì insomma.
Alfonso parla col capo (“Peter si metterà sotto a lavorare”) e per fortuna il mio futuro capo alla Doma non conosce il preside della vecchia scuola.
Che sballo che è l'inizio! Mi danno un furgone tutto mio carico di rifornimenti col quale giro tutta la provincia, lavoro dalle 7.30 alle 16, mi apro la partiva Iva e guadagno un sacco di soldi.
Ecco, qualcuno doveva prima spiegarmi che, lavorando in proprio, ogni 3 mesi bisognava pagare l'Inps.
E a fine anno le tasse, queste sconosciute. E il bollo.
Insomma mi spendo tutto lo stipendio e faccio un gran macello.
Del lavoro però all'inizio non posso proprio lamentarmi: giro per le cooperative agricole, per le aziende di vario tipo, conosco gente, ricarico le macchinette e mi faccio un sacco di amici.
E conosco anche belle ragazze.
A Fondi, alla scuola di formazione pubblica, c'è una matta che tutti i giorni vuole baciarmi mentre carico le macchinette.
Ma è un cesso e ogni volta cerco di fare in fretta e scappare prima di trovarmela davanti nei corridoi.
Il ricordo più felice che ho dei vari luoghi che visitavo per lavoro era la casa di cura a Terracina, che io chiamavo affettuosamente “i pazzi”.
C'erano persone di tutti i tipi: adulti che avevano sbroccato, ex tossicodipendenti che ci erano rimasti proprio sotto, persone che le famiglie non sapevano come toglierseli di torno.
Ogni volta che andavo da loro mettevo su uno show: salivo nelle camere per svegliarli li portavo al piano di sotto e mi facevo aiutare a riempire le macchinette, scherzavo con tutti, conoscevo tutti e tutti mi volevano bene.
Soprattutto uno: Popeo.
Non so se fosse il suo vero nome, ma tutti lo chiamavano così. Era il mio miglior aiutante e anche la vittima preferita dei miei scherzi.
Un sacco di volte, fuori dal lavoro, sono andato a prenderlo alla casa di cura per portarlo a fare un giro e qualche volta l'ho portato anche a pranzo a casa.
Quante volte mi ha chiamato al telefono, svegliandomi in piena notte, con quella sua voce stonata e lenta solo per dirmi: “Peeeeeeteeeeeer, che staaaaaaai a faaaaaaaa, pezzo di merdaaaaaa”.
Popeo sta lì dentro da tanto tempo, non ho mai capito cosa abbia, diciamo solo che la sua testa funziona un po' a rallentatore, ma io gli volevo bene ed era uno spasso.
Quando ho lasciato il lavoro alla Doma, il ragazzo che mi ha sostituito ha preso il mio giro di clienti e quindi va anche dai “pazzi”.
Lui però è più serio, fa il suo lavoro e non perde tempo a ridere e scherzare come facevo io.
Sapete cos’ è accaduto? Che i “pazzi” hanno cominciato a lamentarsi! Rivolevano Peter perché li faceva divertire! Ho sorriso quando me l'hanno raccontato e mi è scesa una piccola lacrima.
Mi sono immaginato la scena: LA RIVOLTA DEI PAZZI!