Seguendo una visione della vita materialista e lungimirante, quel giorno, io Peter Potolicchio età 25 anni solo all'anagrafe, a giocare a pallone non ci sarei dovuto andare.
Nella cucina di casa, io figlio di un'Italia in cui andarsene di casa prima dei 30 è sempre un'impresa venivo ammonito da mammà, Anna, di non andare perché “se ti fai male poi sono cazzi tuoi col lavoro”.
Il lavoro, appunto, Lavoro, lavoravo (così spoilero il finale) con le macchinette automatiche, le riempivo di caffè, merendine, biscotti. Una merda. Onesto, ma pur sempre una merda, che non si può fare con un piede solo.
Dodici ore al giorno su un furgone, girare per la provincia e riempire quelle cazzo di macchinette con la roba che manca, scaricare i soldi reprimendo l'istinto di rubarseli e fare l'inventario a fine giornata.
Una merda, lunga 9 anni.
Seguendo una visione fatalista, visionaria della vita, quel giorno io dovevo andare a giocare a pallone.
Ci gioco da quando ho 3/4 anni, più o meno da quando cammino, ma quel giorno DOVEVO andare perché sarebbe stato quello che mi avrebbe cambiato la vita. Quel giorno, il più bello della mia vita, io mi ruppi una gamba.
Quel giorno decisi che qualcosa doveva cambiare. Finì quel giorno la storia di Peter Potolicchio il Cazzone, iniziò quel giorno la storia di Peter Potolicchio il Barbiere.